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L' Impero alla fine della decadenza

la festa delle donne e i colori sopravvissuti

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Esiste una festa più inutile di quella delle donne? A parte "la festa del papà" credo proprio di no. E' come le battaglie per avere "più parlamentari donne" o "più dirigenti donne", parte da un errore metodologico macroscopico, da una concezione meramente quantitativa dell'intelletto sociologicamente configurato. E' una mostruosità da cervelli usurati e repressi, il cui concetto di "merito" finisce clamorosamente per essere surclassato da quello del numero: non è importante che i parlamentari o i dirigenti (tanto per citare 2 categorie famose, visto che è un concetto che si applica pure agli improvvisati tornei di beach volley ad Agosto) in quanto tali, facciano il loro lavoro, l'importante è che siano equamente distribuiti tra i 2 sessi, il resto è in secondo piano. Questa si che è uguaglianza e meritocrazia!


Una cosa, però, in questo giorno di assurda festa, mi ha colpito. Ero al bar del Policlinico Universitario di Tor Vergata, cercando di conquistare, tra l'enorme folla di gente che si accalcava al bancone, un piccolo spazio dove potermi appoggiare per il caffè. Si è creato un varco e mi sono fiondato di mascolina prepotenza, e mentre stavo per chiedere, con lo scontrino che fa capolino tra l'indice e il medio della mano destra, il solito "caffè macchiato caldo, grazie", mi è caduto lo sguardo sugli occhi di una ragazza, una trentenne non particolarmente bella, a pochi metri da me, sul lato sinistro. Dal piattino che aveva davanti ho intuito che stesse aspettando un capuccino e, per istinto, sono andato alla ricerca del barman che lo stava preparando. L'ho visto indugiare un pò e poi appoggiare la tazza nel piattino. In pochi secondi ho notato che aveva utilizzato il cacao liquido per disegnare, sul latte schiumoso, un cuoricino e un fiorellino e ho visto lo sguardo di lei, rivolto a lui, intento a compiere, con la solita quotidiana meccanicità, il rituale del "servito". Non credo se l'aspettasse, non credo proprio che si aspettasse di ricevere un sorriso e uno sguardo così dolce e prolungato; me ne sono accorto perchè l'ho visto agitarsi e perdere, per un attimo, le linee guida del decalogo del buon barista.
Fenomenologia dell'innamoramento, degli sguardi languidi e dei sorrisi preziosi. Come posso riuscire a descriverlo, quello sguardo? Come posso scrivere bene dell'amore e dell'innamoramento, se nemmeno Stendhal c'è riuscito come voleva?
Alcune cose andrebbero solo vissute e conservate. Alcune cose, da sole, riescono a dare un senso a tutta una vita.
Non sono sopravvissuti molti colori ai rigori di questo inverno ancora non terminato. I giorni sono spesso come le vecchie fotografie in bianco e nero, palesano, con impertinente sfontatezza, la mancanza di coefficienti importanti. E poi sono statiche, maledettamente statiche e immutabili. Il dramma di questi periodi è che trascino una valigetta piena di pennarelli (come quella che mio zio Silvio aveva regalato a mia sorella, più di 10 anni fa) ma non sono in grado di utilizzarli e di razionalizzarne l'uso: scelgo maldestramente le combinazioni di colori, su una tavolozza già impiastricciata, e non riesco a gestirne il consumo. Una volta possedevo un maggiore controllo sulla mia vita e sulle circostanze ad essa associate. Una volta era empatia allo stato puro, aurore boreali e spiagge coperte di neve.
"Tutti gli amori che si possono vedere sulla terra nascono, vivono e muoiono o si elevano all'immortalità, seguendo le stesse leggi"
Standhal, "De l'Amour" (1822).