Cattive Abitudini
Mi sono svegliato con la stessa voglia di ascoltare i Massimo Volume con la quale ero andato a dormire. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto nei negozi dove sono solito acquistare i miei libri sono stato costretto a ordinare il disco direttamente dall'etichetta discografica, e questo si è tradotto nell'ineluttabile conseguenza che ancora non posso ascoltare il cd e sono costretto a fare ricorso a youtube per godermi "Cattive Abitudini". Di solito ascolto tutto l'album prima di esprimere il giudizio fatale se entrerà o meno nella storia degli album che hanno fatto la differenza. Per i Massimo Volume, ovviamente, saltano tutte le regole: mi innamoro del primo pezzo dell'album e arrivo subito alla conclusione che Emidio è tornato a stupirmi e ad emozionarmi.
"Robert Lowell" è un pezzo che restituisce tutte le atmosfere de il primo dio, che ti sussurra frammenti sottili e preziosissimi di immagini appena sussurrate, che sento la presunzione di dover completare e urlare: consideriamo questo piuttosto che il resto, il peso di cose fatte male e fatte in fretta, cumuli di immagini sfocate su cui si punta il dito senza convinzione, solo per poter dire "questo sono io", nell'illusione che ciò che siamo riusciti a dire fosse ciò che avevamo da dire.
Ho il sonno turbato dai termosifoni da spostare, dall'idea che sto dormendo in salotto, dai punti luce immaginari. I tuoni che mi svegliano si sposano con "Robert Lowell". Mi alzo che sono appena le 8, troppo presto per essere domenica, ma è cambiata l'ora legale, Rossella non c'è e sono andato a dormire non troppo tardi. Lo start-up del computer è drammaticamente lento e penso di ingannare l'attesa provando a preparare il caffè con l'ennesima moka che abbiamo comprato. Il risultato è pessimo e comunque non inferiore alle aspettative. Dedico 5 minuti a Youtube e poi mi vedo 5 volte il notiziario della BBC. Rob, il mio insegnante di inglese, mi ha imposto di guardare almeno 4 notiziari e di riportare le informazioni più importanti su uno schemino che ricorda il gioco "nomi-città-animali-etcetc": where-subject-reasonwhy. Ho finito i compiti e inizio a vestirmi.
Decido di celebrare questa domenica vestendomi da ufficio ma con colori scuri. Nel piccolo paese della piccola provincia della piccola città in cui sono nato la gente sfoggia gli abiti migliori proprio di domenica mattina. Oggi rispetto questa tradizione: indosso la giacca e i miei pantaloni preferiti, ho la pashmina scura, la barba leggermente lunga e una specie di cresta sui capelli che mi rifiuto di pettinare. Il risultato ha qualcosa di vagamente omosessuale ma mi piace ed esco di casa allegro e soddisfatto. Da qualche parte ho letto che i centri commerciali, nelle grandi città, hanno sostituito le piazze e sono diventati i luoghi di socializzazione per antonomasia.
I sociologi rabbrividiscono ma gli architetti sono molto più bravi di loro a creare ambienti confortevoli e adatti a tutte le esigenze. E' mattina presto quindi non trovo la solita confusione domenicale, ho una serie di missioni speciali da compiere e le eseguo con matematica precisione: comprare un caffè di qualità (fatto), comprare un regalo a mia sorella (fatto), comprare un regalo al mio nuovo amichetto Mattia (fatto). Il regalo a mia sorella è la parte più complessa e l'ostacolo più impegnativo. Nelle ultime settimane ho regalato 2 pigiami a Rossella e mi appresto a comprare l'ennesimo indumento, nell'identico negozio, per mia sorella.
Entro con aria vaga e approssimativa ma, come se fosse scritto sul vangelo, mi si avvicina la stessa commessa a cui ho chiesto aiuto per i precedenti pigiami. E' mascolina, piena di piercing e ho la netta impressione che mi tratti - giustamente - come uno che compra 3 pigiami da donna in un mese. Supero l'imbarazzo con stoica fierezza, pago e mi faccio fare pure un pacchetto regalo. Sono talmente tanto lanciato che quando Rossella mi chiama e mi dice di comprarle i "leggings-da-calzedonia" affronto un negozio pieno di donne con spavaldo senso del dovere. Ho tutto sotto controllo. E' ora di ritornare a casa. Se mi passa la nausea mi faccio un pranzo favoloso e un caffè da antologia.
Dimentichiamo tutto questo,
l'insormontabile scarto
che fissa il prezzo
della nostra libertà
il terrore dell'assenza
di oggetti che ci sopravviveranno
la muta presenza.
Dimentichiamo tutto questo
e continuiamo ad andare
gli occhi chiusi
e le braccia aperte
in equilibrio
nel nostro monotono sublime.