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L' Impero alla fine della decadenza

Tredicesima puntata

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La stanchezza riduce molta della mia capacità di gestione dei pensieri, lascio che siano le dita (in realtà, è ovvio, mi illudo che sia così) a dare un senso alle cose che scrivo: tredicesima puntata.
Il lavoro assorbe moltissimo del mio tempo e mi stanca, ma è una stanchezza piacevole o, meglio ancora, è la più piacevole tra le stanchezze.

Inizio a vedere dei microscopici risultati, sono ancora nulla rispetto a quanto devo riuscire a realizzare ma rappresentano uno stimolo a continuare in questo "naturale" processo di miglioramento. Sono stanco, stanco morto, e questo sabato devo pure lavorare (eccolo lo straordinario), ma è bello per questo, è bello perché è una stanchezza che mi fa sentire vivo. Sono stato, tra l'altro, di nuovo a Carpi per una riunione. Ho conosciuto tantissimi nuovi colleghi e ho migliorato i rapporti con quelli che già mi erano noti (diventerà una seconda famiglia, ne sono certo).
La dodicesima puntata ha colpito molti dei miei tradizionali lettori. Non credo di aver scritto nulla di particolarmente rivoluzionario rispetto alle precedenti puntate, tuttavia è innegabile il fatto che io sia sotto la pressione di nuovi umori e che, quindi, risenta delle influenze che, questi ultimi, lasciano su di me. Tra le mail che ho letto (e a cui ho dovuto rispondere, ahimè, con poche righe, rosicchiando meticolosamente tempo al tempo), quella che maggiormente m'ha colpito è stata quella di Giuseppe. L'e-mail è andata irrimediabilmente persa (Giusè come t'è venuto in mente di mandarla sull'indirizzo del messenger?!? è inattivo da sempre) ma sono ugualmente riuscito a leggerne il contenuto. Giuseppe cita una frase di Marx per spiegare la mia incapacità ad avviare una decisa rivoluzione intima e psicologica. Ho trovato il paragone estremamente originale e condivisibile: la rivoluzione deve rompere col passato, la rivoluzione deve costruire un presente totalmente indipendente da quelle che erano le precedenti regole. Condivido, come già ho scritto, il paragone, perchè è un assoluta verità il fatto che io non riesca a "rivoluzionarmi" a causa di irriducibili pensieri (e persone) di cui sono, da sempre, irrimediabilmente vittima (a questo punto sai di cosa parlo, mio caro Giuseppe).
Ma è la vita che è così, è normale. E' povero chi smarrisce i propri ricordi, chi cerca e si illude di dimenticare le cose a cui è legato malgrado tutto. Non io, non il mio fuoco che brucia.
"Eri malata, o ape regina divina e dorata, perdono io ti chiederei ma non ci sei più e in queste stanze si urla, e un tonfo scuce la pelle, glaciale un brivido sale dal basso, scompaio, non ci son più, non ci sei più, non ci son più, non ci sei più, nonciseipiù..."