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L' Impero alla fine della decadenza

Quindicesima puntata

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Prendi un pomeriggio infinitamente noioso, mischialo con un sabato sera passato a casa, aggiungi una domenica piovosa di fine maggio e una triste notizia: quindicesima puntata.
Ieri ho litigato tutto il pomeriggio con 2 o 3 paranoie che non volevano lasciare libero il mio cervello. Alle 5 sono uscito, ho fatto una passeggiata lunghissima tra lo shopping del sabato pomeriggio, schivando vecchietti dall'andatura lenta e rompendo unioni di mani di romantiche coppiette.

Avevo voglia di camminare e di vedere gente, volevo il più possibile allontanare qualunque cosa che assomigliasse ad un pensiero complesso dalla mente. Dopo 2 ore di andatura sostenuta sono ritornato al punto di partenza (vicino casa), sono entrato in un negozio e mi sono comprato una cravatta. Non mi piaceva molto e costava troppo ma l'ho comprata ugualmente perché, dopo 2 ore di passeggio solitario e forzato, non me la sentivo di tornare a casa a mani vuote.
Dovevo capirlo subito che non era giornata, invece mi sono ostinato a voler necessariamente sconfiggere le 2, 3 paranoie di cui sopra. Inutile dire, a questo punto, che ne sono uscito a brandelli, senza un minimo spunto che desse l'avvio ad un cambiamento umorale. Ho cenato in maniera scomposta e disordinata, bevendo un litro di latte biologico parzialmente scremato, e ho passato la notte di fronte al computer, immobile, senza produrre nulla e con un senso di vuoto infinito. Non è solitudine, perché sono io a fare il vuoto intorno con i miei atteggiamenti, i miei cambi d'umore e i miei ripensamenti, ma ci assomiglia parecchio, soprattutto nei suoi aspetti più meschini e perversi. Un cambio di strategia sembra inevitabilmente necessario, tuttavia, malgrado gli stimoli, non intravedo strumenti per farlo: sono di fronte ad un'enorme porta ma non ho che piccole chiavi.
Stamattina mi sono svegliato riposato e incazzato. Il solito latte biologico parzialmente scremato, rigorosamente senza zucchero, m'ha riportato davanti al computer. Quel bastardo di outlook non se la sente di farmi trovare una mail (d'altra parte, riflettendoci, chi poteva scrivermi tra le 3 di notte e le 10 di mattina di domenica?) e, siccome i telefoni non danno segno di vita da 2 giorni, mando reciprocamente dei messaggi per vedere se "magari" si sono rotti e non ricevono. Nulla: funziona tutto. Alle 16.00 vado a correre, ancora il tempo è buono e clemente. Per poco meno di un'ora le gambe e il fiato reggono, corro nervoso ma composto. Sudo, sento la stanchezza di tutta la settimana trascorsa ma non mi fermo: ho l'immunità da tutti i pensieri, anche quelli cattivi, quando corro. Mi concentro solo sul respiro, i bambini che cercano di superarmi con le loro piccole biciclette, gli adulti che, invece, mi superano e le coppiette, di tutte le etnie (il parco è un incredibile luogo di pace multietnico) ed età, sdraiate sui prati non sono altro che una gradevolissima cornice: ci sono solo io, null'altro.
A casa mia sorella mi avverte che, qualche giorno fa, è morto Simone, un nostro amico. Era una morte quasi annunciata quella di Simone ma ti lascia ugualmente senza fiato, con il mondo sullo stomaco e il cervello che vorrebbe farsi più piccolo. Non l'ho visto molto spesso in questi ultimi anni, ma qualche tempo fa ha pianto abbracciandomi stretto e chiedendomi aiuto, perché, mentre il suo corpo combatteva contro il male che l'avrebbe portato alla morte, la sua mente non riusciva a liberarsi da una vita complicata e dall'ossessione di una droga bastarda. Un tumore l'ha ucciso, a 23 anni, e io mi permetto di onorare la sua memoria ricordando la disarmante dolcezza delle sue lacrime e la sua straordinaria bontà. Ovunque tu sia, Simone, riposa in pace.
"Vale più l'eternità che raggiungerò o i secondi che da lei mi separano? Te lo sarai chiesto, amico angelo, sul parapetto poco prima di buttarti giù. Ed io ti vedo risucchiato dalla crudeltà di un ossessione che biancheggia sulla tua faccia, cammini ipnotizzato verso l'azzurrità e verso il ponte che si staglia e troneggia. Forse ti chiedi se è vero che non credi, forse rivedi te stesso fino a ieri, dal giorno in cui sei nato, in ciò che è stato e non è stato..."